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(15 gennaio 2012) - La richiesta da parte degli Amissi del Piovego che il livello della golena esterna al Castelnuovo, da loro ribattezzata "di San Prosdocimo", sia abbassato "al livello golenale del 1920" e la pubblicazione della nostra monografia sul Castelnuovo offrono l'occasione per discutere seriamente dell'argomento, al di là delle affermazioni e delle richieste degli Amissi, sempre perentorie e inappellabili, come è nel loro stile.

La golena, a tutt'oggi ufficialmente "golena San Massimo", si è formata e ha subìto un'evoluzione in larga parte conseguente ad intervento antropico (a differenza di quella poco più a nord, a oriente del torrione Venier e della cortina che lo collega al Castelnuovo, formatasi e ampliatasi in modo naturale; costituisce oggi il parco Venturini-Natale, ex Fistomba).
Nella seconda metà del Seicento, quando ancora la cartografia non aveva registrato particolari formazioni di depositi nell'area (e i documenti d'archivio avevano testimoniato gli sforzi per impedirle con ripetuti interventi di pulizia delle fosse), venne infatti interrato il ramo di canale che collegava il Piovego con il Roncajette, e realizzato un argine, ben visibile nelle piante del Rizzi Zannoni e del Valle, parallelo al corso del Piovego verso Venezia, e quindi incidente alla cortina fra i torrioni Buovo e Castelnuovo. Il profilo a capanna che si nota nel muro della cinta daziaria, eretto fra il 1822 e il 1823 sopra quello cinquecentesco, appena a nord della breccia dove è ora la rampa di discesa in golena, ne è probabile traccia.
Prestando fede al disegno del Gobbi, databile al 1687, le acque inizialmente circondavano ancora l'intero perimetro del Castelnuovo (intorno al quale perlatro il disegno registrava una sottile striscia di marezzana) e un tratto della cortina rettilinea: l'interramento di quell'area, di estensione imprecisabile, proseguì poi negli anni successivi, in questo caso certamente in modo naturale, come ha confermato l'analisi dei materiali asportati negli anni Ottanta e Novanta del Novecento, quando l'acqua fu ricondotta a lambire quasi interamente il Castelnuovo.


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Nel 1857 si ripristinò il taglio, rimettendo in collegamento i due canali, questa volta con un sostegno idraulico regolabile in luogo del semplice sostegno a stramazzo cinquecentesco (il murazzo che fu puntualmente ritrovato durante lo scavo).
In quell'occasione il taglio non fu effettuato a filo delle mura, operazione che avrebbe ripristinato l'assetto originario cinquecentesco, con le acque a lambirne la scarpa. Lo si scavò invece discosto dalla cortina rettilinea, tangente ai due torrioni Buovo e Castelnuovo, lasciando intatta l'area che oggi defininiamo "golena San Massimo", con la sua composizione e la sua altimetria variabili.


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Negli anni Venti del Novecento l'area all'interno della città a ridosso della cortina del soccorso ospitò i primi impianti della nettezza urbana, ma non una discarica, come comunemente si crede: si trattava di un impianto di compostaggio, dove l'immondizia veniva prima selezionata, separandone i materiali riutilizzabili, e poi fatta fermentare nelle "celle Beccari", trasformandola in fertilizzante. Il concetto di riciclaggio non è una novità di fine secolo.
Nel 1937 fu aperta la breccia e riorganizzata la viabilità per permettere alla nettezza urbana di utilizzare l'area golenale, per ricoverarvi i propri mezzi e attrezzature, nel frattempo cresciuti di numero e ingombro. La golena fu quindi sistemata e, diciamo, "messa in sicurezza", scaricandovi non spazzatura, ma macerie, ghiaia e terra, per consolidarla e rialzarne il livello in modo uniforme.
Che la golena sia formata in parte da immondizia è una leggenda dura a morire, ma il fatto è che nei lavori di scavo degli anni Ottanta e Novanta, eseguiti su tutta l'area della golena, per abbassarla, e a ridosso del torrione Castelnuovo per liberarne gli accessi sul Piovego, non risulta siano stati trovati altro che terra, sabbia e detriti da demolizione, come risulta dalle relazioni dei tecnici del Comune.
È inoltre importante rilevare il fatto che anche prima dell'arrivo della nettezza urbana, la golena aveva un livello altimetrico considerevole, in particolare a ridosso delle mura, e non soltanto nel tratto meridionale di cui si è detto. Come dimostrano le foto di Giacomo Rusconi, scattate non più tardi del 1905, e il fatto stesso che egli non parli del passaggio d'acqua (impropriamente oggi definito "cavana"), che egli non poteva vedere, perché completamente interrato. Ma lo confermano anche le tavole di progetto di sistemazione degli accessi, del 1937, che mostrano un livello della golena già considerevole.


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Detto questo, è perfettamente legittimo chiedere, come fanno gli Amissi, che la golena venga abbassata, se ne può discutere, ammesso che si riesca a calcolarne e dimostrane un livello "originario". Ma si può e si deve discutere prima di tutto se questa sia una priorità, visto che avrebbe pur sempre un costo, e non da poco, specialmente se il lavoro venisse fatto, come si dovrebbe, con la dovuta cautela, per ricostruire attraverso l'analisi attenta dei materiali di scavo la storia effettiva dell'area, accertando quanto la situazione attuale sia dovuta ad agenti naturali e quanto all'opera dell'uomo. Spendere denaro per la golena, che così com'è non presenta particolari problemi, né per il suo uso né per la godibilità di quanto la circonda, vorrebbe dire, in tempi di gravi ristrettezze economiche come quelli attuali, dover rinunciare ad altre opere assai più urgenti. Parlando di mura, e senza allontanarci troppo, andrebbe prima completato il restauro del torrione Venier, andrebbe fatta almeno una buona pulizia del Castelnuovo e infine andrebbe restaurata e resa praticabile la galleria del soccorso nord: operazioni che renderebbero finalmente comprensibile anche ai meno esperti l'articolazione della fortezza incompiuta pensata da Bartolomeo d'Alviano.

Se ne deve discutere con senso di responsabilità, perché non avrebbe senso illudersi, e illudere la cittadinanza, che abbassare un po' la golena significhi riportare l'area alla sua originaria conformazione, riportandola all'aspetto cinquecentesco: per far questo, occorrerebbe eliminare del tutto la golena, spostando l'alveo del Piovego a ridosso delle mura. Operazione che comporterebbe costi e difficoltà ancor maggiori, ma avrebbe il pregio della coerenza e del rigore storico. Ma non ci pare sia questa la proposta degli Amissi.
D’altra parte, il risultato sarebbe in ogni caso insoddisfacente senza un contestuale abbassamento del livello del Piovego, oggi (ma non da oggi) più alto di oltre un metro rispetto a cinque secoli fa, fatto ben noto anche prima del recente scavo abusivo che ha portato in luce la cannoniera, essendo sufficiente ragionare sul livello delle cannoniere di porta Ognissanti per rendersene conto (per inciso, è questa una delle cause, se non la principale, del periodico allagamento della galleria del soccorso). Ma sarebbe un’operazione, per quanto augurabile, obiettivamente assai difficile da attuare, per non dire impossibile: comporterebbe infatti un ripensamento dell’intero assetto idrografico dell’area a valle, oltre ad avere conseguenze negative sulla navigabilità del Piovego.
Paradossalmente, nella proposta degli Amissi viene lasciata per ultima l'unica operazione che sarebbe invece rilevante dal punto di vista della conoscenza, ovvero lo sterro della porzione sud, a ridosso del torrione Buovo (Portello Vecchio), che permetterebbe di mettere in luce la cannoniera inferiore, ancora mai rilevata.

Quanto alla denominazione, all'epoca dell'apertura della breccia, nel 1937, ci si riferiva alla golena come Marezana del bastione di San Massimo. Dai dati d’archivio, risulta che già nella seconda metà del Cinquecento le golene erano identificate come marezzane con il nome del relativo bastione o torrione: secondo questa prassi, la nostra golena prese dunque il nome comunemente in uso fra Otto e Novecento per il torrione Buovo, nome che a sua volta era stato attribuito al torrione per la vicinanza con la chiesa o con la via omonime.
Ribattezzarla "di San Prosdocimo", solo  perché su una delle aperture è collocata una statua del santo, potrebbe anche essere accettabile come operazione di marketing, ma storicamente non ha particolare senso, se non rifacendosi al presunto ingresso di Prosdocimo a Patavium da oriente: né le porte medievali presenti nell'area (Portello e di Ogni Santi), né alcun manufatto di epoca veneziana hanno mai portato quel nome, almeno a quanto ci risulta.
Nel recente e assai interessante convegno, organizzato proprio dagli Amissi sull'argomento, molto si è parlato del santo, della sua storicità e della sua importanza per Padova, ma nulla di concreto si è detto della statua, della sua antichità, e della sua eventuale provenienza, se più antica, come sembra, delle mura cinquecentesche. La devozione per il santo era in ogni caso diffusa e la sua immagine non era posta a protezione solo della porta d'acqua del Castelnuovo, ma anche, per esempio, di porta Santa Croce, pur in compagnia degli altri santi patroni della città.
Sia come sia, se proprio si sentisse la necessità di cambiar nome alla golena, seguendo la regola in uso già nel Cinquecento sarebbe più appropriato definirla golena "del torrione Buovo", o "del Portello vecchio" o "del Castelnuovo". Ma cambiare la toponomastica è anch'essa una operazione che ha un costo, seppur limitato. Se non altro per cambiare tutti i documenti che vi fanno riferimento. Ce n'è proprio bisogno, quando si fatica, sempre di più ogni giorno, a trovare i soldi per i restauri?

Infine, la cannoniera, "scoperta" dagli Amissi con i loro badili, come essi stessi rivendicano: è solo l'ultima di una serie ininterrotta di operazioni da loro compiute, o istigate, attuate in spregio alle leggi, all'approccio scientifico e alla storia stessa.
Sia chiaro, è senz'altro positivo che lo scavo abbia portato alla luce un ulteriore e non secondario dettaglio costruttivo della complessa struttura e, di per sé, questo particolare scavo non ha probabilmente prodotto significative perdite di informazioni; anche se sarebbe stato utile che il terreno rimosso fosse sottoposto ad esame archeologico, anche in relazione alle loro affermazioni circa i livelli della golena e i materiali con i quali il livello sarebbe stato, a loro parere, rialzato.
Fa molto temere però, visti i precedenti in materia, quel tamponamento della cannoniera appena portata in luce, ora esposto, più che alle intemperie, alle intemperanze: non vorremmo che qualcuno, per cercare la casamatta che sarebbe logico aspettarsi di trovare all'interno del muro (ma che, per ragioni che ci piacerebbe poter discutere prima che sia troppo tardi, potrebbe anche non esserci), decidesse di rimuoverlo, nonostante quel tamponamento sia verosimilmente coevo alla costruzione del torrione (sia stato cioè predisposto da chi ha costruito il torrione, i veneziani, nel Cinquecento). Gli ignoti che negli anni Novanta hanno demolito quello della postierla pedonale non hanno avuto tanti scrupoli, ed era anch'esso con ogni probabilità cinquecentesco; come probabilmente lo erano, o al massimo seicenteschi, quelli della "cavana": sia quello esterno, abbattuto una ventina d'anni fa, sia quello interno, appena tre anni fa.
Tutto sotto il naso degli Amissi del Piovego, che della golena e delle mura pretendono di essere i custodi. E senza mai un lamento da parte loro per la devastazione che si andava compiendo.

Sarebbe ora che sulla golena, ma soprattutto sulle mura che la circondano, si esercitasse da parte dell'amministrazione pubblica, ma anche della cittadinanza responsabile, un più attento e severo controllo: gli Amissi hanno dimostrato di non saperlo o volerlo esercitare.

Ugo Fadini - Associazione Comitato Mura di Padova

(l'articolo si fonda sulla ricerca di Patrizia Dal Zotto e Andrea Ulandi pubblicata in "Il Castelnuovo di Padova: la fortezza mancata", alla quale si rimanda per le immagini a colori e per più ampi riferimenti cartografici e d'archivio)


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