Poco si sa di quali difese abbia posseduto Padova fra la fine dell'impero romano e gli ultimi anni del XII secolo, quando fu iniziata, o portata a termine, la costruzione della cerchia comunale. A parte alcune tracce di mura altomedievali nei pressi del castello scoperte di recente, l'accertata esistenza, almeno dal X secolo, della Turlonga, nucleo iniziale del castello, e quella altrettanto sicura di un castello episcopale nei pressi del duomo, null'altro è documentato con certezza.

Ben diversa è la situazione per quanto riguarda l'età comunale e la successiva signoria carrarese.

Sebbene ci siano pervenute in stato frammentario, conosciamo in modo sufficientemente preciso le mura della prima cerchia comunale, della quale è documentato anche il periodo di costruzione, fra il 1195 e il 1210 (ma meglio sarebbe parlare di completamento e consolidamento, poiché già in precedenza le fonti parlano di muri e spaldi eretti a difesa di parti della città).
Se ne conservano ampi tratti e ne possediamo immagini eloquenti, ad esempio nell'affresco di Giusto de Menabuoi al Santo, e una dettagliata descrizione risalente i primi del Trecento, nella Visio Egidii Regis Patavie di Giovanni da Nono, che elenca con precisione numero, nome e collocazione di ogni porta.

Una seconda cerchia, della quale sopravvivono pochi, incerti frammenti, andò formandosi già pochi decenni dopo il completamento della prima, secondo un processo comune ad altre città medievali: a mano a mano che la città si espandeva, dando vita a nuovi borghi esterni alle mura, un nuovo tratto di cinta, collegato a quella già esistente, veniva eretto a loro protezione. In qualche caso, come a Padova, l'insieme degli ampliamenti andava a formare una nuova cerchia attorno alla precedente. Il processo di formazione di questa seconda cerchia di mura si prolungherà per tutto il secondo periodo comunale, per concludersi forse nei primi anni della signoria carrarese.

Ai Carraresi, e in particolare a Francesco il Vecchio, vanno invece senz'altro attribuiti gli ulteriori ampliamenti verso est e sud, che andranno a formare la terza cerchia, con la quale si concluderà l'espansione della città, la cui immagine si consoliderà anche grazie alle prime rappresentazioni cartografiche quattrocentesche, di Annibale Maggi e di Francesco Squarcione.
Questa cinta più esterna era dunque costituita da una parte della seconda cerchia, con l'aggiunta delle integrazioni carraresi ad est e a sud, come mostra lo schema pubblicato qui sopra, che fornisce anche la lunghezza di ogni tratto e le dimensioni dell'area. La terza cerchia è del tutto scomparsa in seguito alla realizzazione del sistema bastionato cinquecentesco e ne sono stati ritrovati pochi resti archeologici.
Le rappresentazioni quattrocentesche già ricordate, cui se ne aggiungono poche altre cinque e seicentesche (in particolare quella di Vincenzo Dotto), ci aiutano a ricostruirne l'andamento, la collocazione delle porte e l'aspetto, non molto diverso rispetto alla cerchia comunale o alle mura coeve di città come Este o Montagnana.

 

Per maggiori dettagli sulle singole cerchie, consultare le relative voci del menu qui a sinistra

Per una trattazione ampia e dettagliata delle mura medievali nel loro complesso:
- Le Muraglie vecchie di Padova
, di Adriano Verdi (tratto da I luoghi dei Carraresi, a cura di Davide Banzato e Francesca d'Arcais. Canova, Treviso 2006)

Per una ricognizione fotografica dettagliata dell'esistente (al 1987):
- Le mura ritrovate.
Fortificazioni di Padova in età comunale e carrarese, a cura di Adriano Verdi, Panda Edizioni, Padova 1987 e 1989

 

Le mura comunali di Padova - Visita virtuale


Un giro completo, passo a passo, delle mura comunali: ogni tratto superstite e ogni tratto noto dai documenti d'archivio illustrati e commentati in 127 diapositive.

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La terza cerchia di mura medievali, quella che ha dato a Padova la sua caratteristica forma a triangolo, poi sostanzialmente conservata dal sistema bastionato cinquecentesco, fu completata durante la signoria di Francesco il Vecchio da Carrara, probabilmente negli anni Settanta, all'epoca della ristrutturazione del castello.

Questa ultima cinta esterna, un po' impropriamente denominata terza cerchia, era in realtà costituita da ampi tratti dalla seconda, forse rimaneggiati, con l'aggiunta delle nuove mura a sud intorno a borgo Santa Croce e a est fino a borgo Ognissanti. Si trattava anche in questo caso di un completamento, più che di una costruzione interamente ex novo, dato che già in precedenza i signori carraresi, e prima ancora Cangrande della Scala, avevano provveduto a fortificare perlomeno l'area di Ognissanti, dove era il porto fluviale.

L'intera cerchia fu demolita nella prima metà del Cinquecento per lasciare posto alla nuova cinta bastionata veneziana, che peraltro ne seguiva a grandi linee l'andamento e ne riutilizzava il materiale di demolizione.

Ne rimangono oggi solo poche tracce incerte, come il breve tratto di muro venuto alla luce in piazzale Savonarola durante la realizzazione della rotonda viaria, quello superstite nell'area dell'obitorio a Ognissanti e pochi resti, in questo caso più certi, del recinto della porta saracinesca (da non confondere con l'omonima porta della cinta cinquecentesca). Il tratto più consistente e che ha fornito i dati più importanti, è quello intercettato negli anni Novanta al centro di viale della Rotonda, durante lavori per la posa di sottoservizi. Lo scavo ha portato alla luce tracce delle fondazioni di un lungo tratto di muro, orientato nella stessa direzione ma più interno rispetto alle successive mura rinascimentali, con almeno tre torri e forse una porta. Purtroppo i ritrovamenti non sono più visibili, ma sono stati rilevati dalla Soprintendenza e documentati (vedi le indicazioni bibliografiche a fine pagina).

Ricordiamo che di epoca carrarese sono anche altre strutture difensive di cui restano alcune tracce anche rilevanti, oltre naturalmente al castello e alla reggia. Si tratta della torre-porta, detta di San Michele, e di un tratto di muro di cinta della cittadella vecchia (oggi piazzetta Delia); e della torre del Soccorso (nota popolarmente anche come torre del Boia o del Diavolo), con il recinto del Soccorso.

 

Ulteriori notizie sulle mura carraresi nel relativo capitolo della Storia in breve.

Per il castello e la reggia seguire le relative voci del menu a sinistra

Per una trattazione ampia e dettagliata delle mura medievali nel loro complesso:
- Le Muraglie vecchie di Padova
, di Adriano Verdi (tratto da I luoghi dei Carraresi, a cura di Davide Banzato e Francesca d'Arcais. Canova, Treviso 2006)

Per una ricognizione fotografica dettagliata dell'esistente (al 1987):
- Le mura ritrovate.
Fortificazioni di Padova in età comunale e carrarese, a cura di Adriano Verdi, Panda Edizioni, Padova 1987 e 1989

Per gli scavi in viale della Rotonda:
- Nuovi dati sullo sviluppo della forma urbana di Padova fra VI e XVI secol
o, Andrea Moneti e Antonio Draghi in Bollettino del Museo Civico di Padova LXXXII, 1993, p. 61-82

 

 

Poco si sa di certo, e pressoché nulla rimane, delle opere di difesa della Padova altomedievale, se si eccettua l'accertata esistenza della Turlonga nel 1062 e la sua identificazione ormai certa con i primi metri di elevato della torre del castello ezzeliniano e carrarese, oggi più nota come torre della Specola. Attorno ai lati est e nord della torre è stato anche individuato, nelle strutture ancora esistenti del castello, un piccolo ma assai munito recinto che si ritiene coevo alla primitiva costruzione della torre, a costituire un primo piccolo castello.

Il recente ritrovamento di resti di fondazioni di un muro altomedievale dello spessore di un metro e mezzo, parallelo alle mura comunali, all'esterno e a occidente di esse, presso la Torlonga stessa, ha fatto pensare che possa trattarsi di resti di più antiche fortificazioni di epoca bizantina, dunque precedenti alla distruzione della città da parte dei longobardi di Agilulfo nel 602 d.C. Opere che si suppone avessero sostituito, o integrato, le mura romane già smantellate, in tutto o in parte, nei secoli precedenti.

Di recente è stata suggerita in alternativa l'ipotesi che Padova possa aver conservato le mura romane anche dopo la caduta dell'impero d'occidente e che queste siano state distrutte da Agilulfo, piuttosto che l'intera città, determinandone comunque la perdita di sicurezza e dunque di rilevanza, al punto da farne allontanare il Vescovo. Secondo questa lettura, il tratto ritrovato con i recenti scavi apparterrebbe ad un'epoca successiva, come parte del processo di rinascita della città, iniziato dal X secolo.

Per il resto, ci soccorrono solo scarne notizie d'archivio, come la concessione da parte del re d'Italia Berengario al vescovo di Padova della facoltà di costruire castelli, nel 912 e di nuovo nel 915, l'attestazione dell'esistenza di due castelli nel 950, la menzione di un castrum domi (del duomo, dunque residenza fortificata del vescovo) nel 1031 e qualche successiva notizia circa la costruzione di spaldi.

 

Ulteriori notizie sulle difese altomedievali nel relativo capitolo della Storia in breve

Per maggiori approfondimenti consigliamo la lettura di:
- Le mura ritrovate.
Fortificazioni di Padova in età comunale e carrarese, a cura di Adriano Verdi, Panda Edizioni, Padova 1987 e 1989, per la cronologia e le notizie sul periodo pre-comunale.
- Il castello di Padova. Archeologia e storia, di Stefano Tuzzato, in Castelli del Veneto tra archeologia e fonti scritte, Atti del convegno, Vittorio Veneto, Ceneda, settembre 2003, a cura di G.P. Brogiolo, E. Possenti, SAP Società Archeologica, Mantova 2005, per l'identificazione della Torlonga.
- Insediamenti "fluviali" fortificati, Aldo A. Settia, in Il Bacchiglione, a cura di F. Selmin e C. Grandis, Cierre, Sommacampagna (VR) 2008, per l'ipotesi di una collocazione tarda del muro rintracciato negli scavi presso la Torlonga. Disponibile anche online al sito di "Reti Medievali".

 

 

 

le muraglie vecchie

La seconda cerchia di mura medievali di Padova (che cingeva l'area evidenziata in ocra sulla pianta del Dotto qui a destra) è quella per la quale sono più incerti i tempi di realizzazione, che va collocata, in fasi successive, fra la fine del dominio di Ezzelino III da Romano (1256) e la signoria di Ubertino da Carrara (✝1345).

Già all'epoca della cacciata del tiranno in effetti le fonti aprlano di spaldi già esistenti a protezione dei borghi esterno orientali. E terrapieni sembra siano stati innalzati anche a ovest e a nord, proprio per impedire il ritorno di Ezzelino. Nei decenni successivi furono poi sostituiti da mura vere e proprie, sempre in fasi successive e forse anche con ricostruzioni o spostamenti. Ma si pò ritenere che già entro la conclusione del periodo del cosiddetto secondo comune, quello di maggiore floridezza di Padova, la seconda cerchia fosse ormai completa, anche se non sono da escludere ulteriori lavori di consolidamento o rettifica.

A metà del XIV secolo la situazione si era comunque stabilizzata e la seconda cerchia si mostrava ormai completa, circondando per intero la prima, alla quale era anche collegata a nord con il cosiddetto ramo Contarini, mentre a sud ovest, nei pressi del castello, il collegamento era costituito dall'area della cittadella (oggi piazzetta Delia), come mostrano sia le carte quattrocentesche del Maggi e dello Squarcione, sia quella seicentesca di Vincenzo Dotto.

Quasi nulla ne rimane oggi: forse un tratto di muro che si nota lungo via Dimesse, all'interno della proprietà del monastero, e quasi certamente un breve tratto, solo della parte basamentale, sotto l'edifico (casa Breda) all'angolo fra via Altinate e via San Mattia, allineato con quest'ultima. I tratti che andarono successivamente a far parte della terza cerchia furono abbattuti quando questa fu sostituita dalla nuova cinta bastionata veneziana, mentre quelli rimasti all'interno della città (lungo il canale delle Acquette e il Prato della Valle fino a Sant'Antonio e lungo il canale di Santa Sofia) furono progressivamente demoliti avendo perso ogni funzione militare. Non è da escludere che i materiali di demolizione anche di questi tratti siano stati utilizzati per la costruzione del sistema bastionato.

Ulteriori notizie
sulle mura della cerchia intermedia nel relativo capitolo della Storia in breve

Per una trattazione ampia e dettagliata delle mura medievali nel loro complesso:
- Le Muraglie vecchie di Padova
, di Adriano Verdi (tratto da I luoghi dei Carraresi, a cura di Davide Banzato e Francesca d'Arcais. Canova, Treviso 2006)

Per una ricognizione fotografica dettagliata dell'esistente (al 1987):
- Le mura ritrovate.
Fortificazioni di Padova in età comunale e carrarese, a cura di Adriano Verdi, Panda Edizioni, Padova 1987 e 1989

 


Le Muraglie vecchie di Padova [1]

Adriano Verdi


Prima degli interventi trecenteschi Padova poteva contare su due tipi di difese realizzate in epoca comunale: le mura interne all’anello fluviale intorno alla città e le fosse arginate intorno al suburbio. Delle prime si conservano ancora diversi tratti lungo le riviere, mentre le seconde sono state sostituite da fortificazioni permanenti in muratura durante il XIV secolo, a loro volta soppiantate da quelle cinquecentesche



Per la datazione delle prime fasi costruttive si deve fare riferimento agli annali e alle cronache padovane anonime, mentre in documenti notarili privati si trova la notizia che qualche tratto di muro urbano è esistente.

Due sono le date sulle quali vi è l’accordo di tutte le redazioni degli Annales: il 1195, quando col podestà milanese Pagano della Torre inizia la costruzione delle mura attorno a Padova de fuora a partire dal ponte S. Leonardo [2] e il 1210, quando col podestà piacentino Iacopo de Andito è costruita la Porta delle Torricelle col tratto di mura fino alla chiesa di S. Michele [3]. Ma si tratta solo delle fortificazioni della porzione occidentale e meridionale della città, all’interno del corso d’acqua principale chiamato oggi Tronco Maestro e del ramo artificiale di S. Michele o dell’Osservatorio, oggi detto Naviglio Interno. La parte orientale, infatti, doveva già essere stata fortificata, poiché sono noti alcuni documenti più antichi che fanno menzione della presenza di mura urbane non lontano dall’oratorio di S. Giuliana [4] e vicino alla chiesa di S. Matteo [5] nel tratto orientale della prima ansa fluviale, quella scavalcata dai superstiti ponti romani di S. Lorenzo e Altinate.


 


Tra il VI e l’XI secolo il Bacchiglione occupava probabilmente nient’altro che il  tratto occidentale dell’antico grande meandro del Brenta dove si era sviluppata la Patavium romana. Solo col taglio della prima ansa mediante il canale di S. Michele, l’acqua sarebbe stata reimmessa anche nel ramo orientale, ma con scorrimento verso nord [6]. Con l’attivazione del ramo interno la città si chiude in un’isola fluviale e solamente questa, infatti, è chiamata urbs nei documenti fino al XIV secolo. Le aree abitate al di fuori di questo confine sono chiamate suburbia, sobborghi o borghi “fino ad un miglio dalle porte della città”, come stabilito dallo statuto del comune di Padova del 1275 [7], anche se difese da spalti, cioè da terrapieni e palizzate. Una fascia di campagna coltivata detta campanea o coltura civitatis si estendeva poi tutt’intorno all’abitato fino ai termini del territorio comunale, collocati nel 1287 lungo tutte le strade principali a due miglia dal palazzo del Comune [8].



Le prime notizie sulle fortificazioni di fortuna con argini difensivi, eretti al di fuori della città per difendere i nuovi insediamenti, sono molto precoci, anzi in un caso precedono quelle relative alla costruzione delle mura, giacché nel 1076 è citato uno spalto in località Torreselle [9], fuori della città, probabilmente edificato sulla linea del canale delle Acquette.
Ma non sono documentate altre fasi costruttive, fino a quando non si conosce la conformazione già assestata della città nel 1256, al termine della dominazione di Ezzelino III da Romano, descritta dal notaio Rolandino nella sua Cronica
[10] nei giorni 19 e 20 giugno. Allora l’abitato è circondato dalle mura interne con porte alle Torricelle, a S. Stefano, al ponte Altinate [11] e a S. Giovanni (quella dei Molini in questa occasione non è nominata) ma anche i borghi sono difesi da spalti e da argini dei fiumi, intervallati da torri e da porte. È menzionato il borgo e il circuito di Rudena (burgus et totus circuitus rutenensis) con la porta di Pontecorvo, dove si svolge il primo scontro, e la porta del Prato, dalla quale si accede al borgo delle Torricelle. La conquista di queste due porte consente all’esercito guidato dal legato pontificio, l’arcivescovo di Ravenna Filippo Fontana, il controllo di tutti i sobborghi dalla parte di Rudena, dal ponte dei Contarini fino alla chiesa di S. Michele, sita dall’altra parte del fiume rispetto al castello.



Per impedire il ritorno di Ezzelino, durante l’estate del 1256 sono poi difesi i borghi occidentali, scavando a circa trecento passi fuori dalle mura una fossa lunga quasi tre miglia, dalla porta della Saracinesca fino alla porta della S. Trinità, e costruendo palizzate di legname con alcune torri lignee e petriere [12].
Due anni dopo le cronache sono concordi nel testimoniare l’inizio della costruzione di murature sugli spalti, al posto delle palizzate di legname, a partire dalla Sarcinesca e all’esterno di S. Giovanni
[13]. Nel successivo 1259, l’anno della morte di Ezzelino III, è ricordata la costruzione di murature sugli spalti dalla parte della S. Trinità [14]. E ancora nel 1263, sempre nella zona occidentale, le cronache citano la costruzione di mura dove prima vi erano solamente spalti [15]. Infine, nel 1270 il murus spaldi è terminato [16]. Questa attività è indirettamente confermata da uno statuto del 1263 che stabilisce che gli introiti della tassa sul vino “non possano né debbano essere spesi in qualche luogo o in qualche fatto, se non per fare le mura della città e i barbicani[17]. Ma già nel 1269 si aggiunge che i denari raccolti con la tassa del vino possano essere spesi anche per lastricare le strade e, nel 1276, anche per pavimentare i ponti di Padova.
Nel 1300 gli Annali accennano ad un intervento di costruzione di fortificazioni in muratura anche dalla parte orientale, quand'è costruito il porto ad Ognissanti, murato dal ponte d’Ognissanti fino alla "rosta", vale a dire il sostegno
[18].



Con questa situazione delle fortificazioni il comune padovano attraversa il suo periodo di maggior floridezza, fino alla “pessima guerra” contro il vicario imperiale Cangrande della Scala, che inizia nel 1311 con la sottrazione di Vicenza dal dominio padovano e si protrae, con l’assedio di Padova del 1319 e con l’assalto respinto del 1320, fino alla resa del 1328 e alla morte di Cangrande nell’anno successivo. Si assiste così, in questi anni, prima alla cancellazione delle insegne imperiali dell’Aquila dal palazzo del comune, dalle mura e da ogni luogo dove erano dipinte a Padova nel 1312 [19] e poi alla costruzione da parte di Cangrande di un primo castrum al Bassanello nel 1319 [20] e di un grande terrapieno circondato da fosse per innalzare un altro castello a Pontecorvo nel 1320 [21].



All’inizio della signoria carrarese le difese padovane sono compiutamente descritte, anche se in forma di profezia, dal giudice Giovanni Da Nono nella sua Visio Egidii regis Patavie [22]. La bellissima muraglia fatta di mattoni e pietre (lapidibus terre atque montanis), alta fino a 50 cubiti, larga 10 e con fondazioni profonde 15, circonda la città con un giro che assomiglia ad un ferro di cavallo lungo un miglio (le misure sono tutte inventate). Nomina tutte le porte che vi si aprono, con i ponti antistanti, iniziando dalle quattro porte principali del Ponte dei Molini, di S. Giovanni delle Navi, delle Torricelle e del Ponte Altinate, verso i quattro punti cardinali, e continuando poi meticolosamente con le altre quindici. La visione prosegue con i quattordici palazzi del Comune, tra cui dettagliatissima quella del Palazzo della Ragione, ma non vi è cenno relativo agli spalti attorno ai sobborghi, che non costituivano ancora evidentemente fortificazioni degne di essere menzionate in quel contesto.
Gli interventi dei Carraresi per la difesa della città, ormai stabilmente estesa a comprendere i sobborghi fin dalla seconda metà del secolo precedente, sono testimoniati concordemente dalle fonti a partire dalla signoria di Marsilio. Tuttavia il Vergerio assegna già a Giacomo I l’iniziativa di costruire un tratto di mura dal tempio di S. Antonio alla porta del Prato della Valle e di rinnovare in molte parti il vallo a difesa dei sobborghi
[23].
Marsilio, ancora impegnato nelle lotte con gli Scaligeri, può ordinare l’inizio della costruzione delle mura solo nel 1337, pochi mesi prima della morte, sopraggiunta il 20 marzo 1338, quando erano state già gettate le fondamenta in molte parti a est, dalla porta della Trinità fino a Pontecorvo, e a sud, dalla porta del Prato della Valle fino a S. Michele
[24].
L’operazione di chiudere con mura permanenti i quartieri a ridosso della cittadella fluviale è proseguita dal successore Ubertino da Carrara tra il 1338 e il 1345, anche se egli è ricordato soprattutto per la costruzione della sua dimora, detta poi Reggia carrarese. Il secondo giro di mura a corona della città
[25], realizzato dove prima esistevano gli spalti e i muri degli spalti, comprende anche torri, porte e ponti che, almeno in parte, erano preesistenti o ne hanno mantenuto il nome.
La cronaca carrarese di Galeazzo Gatari e del figlio Bartolomeo, anche se copre l’intero arco temporale delle vicende della signoria, è descritta di prima mano con dovizia di particolari solo a partire dal 1372.
Francesco I da Carrara, detto il Vecchio, nel mese di novembre del 1372, sotto la pressione dei combattimenti contro le forze veneziane ai margini del serraglio di Brentelle, ordina comunque di rinforzare le difese dalla parte opposta della città, facendo costruire velocemente spalti di terra lungo il fiume da S. Agata fino alla Saracinesca (mancando ancora il recinto del castello, cominciato nel 1374) dalla Saracinesca a S. Croce, da S. Croce al Bassanello e poi, dall’altra parte, fino al Portello d’Ognissanti “e a questo fu universalmente tuto il povolo di Padoa a lavorare
[26] perché da quelle parti non vi erano ancora mura attorno ai borghi. Queste sono costruite poco più di un anno dopo nella zona est, tra Ognissanti e il Portello delle navi. Questa porta, con torre e ponte levatoio, è messa in funzione per la prima volta sabato 11 febbraio 1374 [27].
Il 9 maggio dello stesso anno s’inizia con una cerimonia la costruzione del castello a S. Tommaso, presso la torre di Ezzelino, con la direzione dell’ingiegniero Nicolò della Belanda, il quale s’impegna di completare l’opera entro quattro anni.



Nello stesso mese sono iniziate, e anche finite, le mura dal ponte Peocioso al Portello d’Ognissanti e rialzate quelle di Porciglia fino a Codalunga, che prima erano “basse e malforte[28].
A partire dal marzo del 1376 s’innalzano le mura (del secondo giro) lungo il canale di S. Sofia, da Porciglia al ponte Peocioso. Poi quelle dal ponte Peocioso alla Riva del sale del Portello e da Ognissanti a Porciglia. Poco tempo prima era stata eretta anche la torre del Bassanello col suo recinto. Entro l’anno sono costruite anche le mura da S. Croce verso la Saracinesca
[29], completando così le fortificazioni in muratura, in luogo degli spalti, anche attorno ai borghi più esterni della città.
Non sono citate le date della costruzione del recinto della cittadella, a sud del castello, che viene però data come esistente nel 1389
[30] e anche dotata di porte nel 1390 [31], e nemmeno quella della “via del Traghetto” [32], via pensile dalla Reggia alle mura comunali occidentali, così chiamata da Andrea Gatari in occasione delle nozze del 28 maggio 1376 di Taddea con Francesco Novello e nominata anche come “via della corte verso il castello” da Galeazzo Gatari [33]. Mentre la cittadella può essere considerata come una struttura annessa al castello e costruita quindi con la ristrutturazione iniziata nel 1374, il traghetto, dallo Scardeone in poi, è stato sempre considerato una attrezzatura della reggia e fatto costruire da Ubertino. I Gatari non nominano il soccorso, struttura per le sortite della cavalleria formata da una coppia di lunghi muri dalla cittadella fino al cortile d’uscita con due porte ai piedi della torre di fronte alla Saracinesca.



I cronisti non forniscono dettagli sulle modalità costruttive delle mura. In genere le menzionano insieme con altre opere pubbliche importanti (ponti, strade, molini sedi amministrative) alla morte del principe, attribuendogli il merito civile della loro edificazione. Le opere di fortificazione provvisoria sono invece collocate con più precisione nel contesto della narrazione delle vicende politiche e, soprattutto, dei conflitti, che assorbono la maggior parte della cronaca. Così, ad esempio, nel conflitto con i veneziani durante il mese di dicembre 1372, oltre a nominare macchine (“belfredi, ponti snodati per gitare a terra, mangani”) ed armi per la guerra (“dardi e chiavarine”, “bombarde, schiopi, balestri”), i Gatari raccontano che nella podesteria di Piove di Sacco Francesco I da Carrara fa costruire due bastie, una a Lugo e una a Lova. Subito i veneziani rispondono, costruendo di fronte alla bastia di Lova, dalla parte opposta del fiume, un’altra bastia “bella e grande in manco di tre ore” e distribuendo “su per lo fiume uno spaldo di legname[34]. Ancora a Lova, nell’aprile del 1373, Francesco da Carrara fa compiere in sette giorni una fossa e una bastia adunando quattro mila guastatori con zappe e badili [35]. Oppure, avendo il signore da Carrara ordinato di fare nel mese di maggio del 1375 un serraglio nella campagna di Boion, il giorno 7 maggio “infiniti guastatori” cominciano a scavare una fossa lunga un miglio “e il dì seguente fu la ditta fossa e refosso e forteza conpida”. Anche in questo caso i veneziani rispondono scavando anche loro una fossa da Lova alla Torre del Curame e mettendola poi in “buona guardia” con 800 balestrieri [36]. E, per citare solo un altro caso, nel 1378 Francesco I ordina di rifare il castello di Oriago e, presenziandovi di persona, vi fece arrivare tanto personale, e legname, e pietre, e calcina che in otto dì il fu fatto così bello come non mai e messo in guardia e fornito d’ogni munizione: “e fu questo uno gran fatto a eser fato così tosto” commenta il cronista [37]. Non c’è dunque da meravigliarsi sui tempi molto ristretti per compiere i lavori, dato il numero delle persone comandate ad eseguirli e le quantità di materiali messi a disposizione.


Esiste un’altra preziosa testimonianza contemporanea dello stato delle fortificazioni esistenti attorno a Padova quasi alla fine della signoria di Francesco Novello da Carrara. Si tratta della nota descrizione di Giovanni di Conversino da Ravenna delle processioni purificatrici promosse dal movimento religioso dagli Albati e compiute anche a Padova per nove giorni, dal 29 settembre al 7 ottobre 1399 [38]. I pellegrinaggi, studiati per incontrare alcune chiese, consentono di conoscere anche lo stato delle porte e dei ponti ai margini dei sobborghi.
Nel settore di ponente sono aperte le porte di S. Giovanni (esterna) e di Savonarola (attraversate nel primo e nel quinto giorno). Non vi sono invece passaggi aperti né a S. Prosdocimo, né alla strada dell’Arzere
[39], né a S. Giovanni da Verdara (Viridaria).
Verso nord sono praticate le porte della S. Trinità a Codalunga e di Porciglia, verso gli orti nel serraglio omonimo (nel quarto giorno).
A oriente sono descritte le due direttrici dalla porta di S. Sofia, aperta nelle mura intermedie, a quella di Ognissanti e, più a sud, quella dalla porta del ponte Peocioso (detto anche Peochioso o Pedochioso, in origine forse Ponderoso o dei Pesi) al Portello, vicino alla riva del sale (nel terzo e nell’ottavo giorno).
Verso sud, infine, sono menzionate le porte del ponte Corvo e di S. Croce (nel primo e nel sesto giorno).
Per il recinto più esterno manca all’appello, dunque, solo la porta Saracinesca, che appartiene, in qualche modo, al nodo complesso e non chiarito del Castello, la cui area poteva essere attraversata accedendo da un ponte levatoio verso S. Agostino oppure dalla porta di S. Michele (che tuttavia poteva essere raggiunta dal castello solo postulando l’esistenza di un ponte, che però Giovanni da Conversino non nomina, come non nomina la Cittadella o il Soccorso).

Sono note solo due rappresentazioni della città di Padova precedenti alla realizzazione delle fortificazioni cinquecentesche: la prima, del 1449, disegnata da Annibale Maggi da Bassano e la sua rielaborazione del 1460 circa, attribuita a Francesco Squarcione.




Delle altre, disegnate dopo che il fronte bastionato si è sovrapposto alle mura carraresi, sono da ricordare la “Padoa BEB” conservata a Londra, la “Padoa” di Francesco Valegio della fine del Cinquecento e la “Padova circondata dalle muraglie vecchie” di Vincenzo Dotto, inserita nel volume di Angelo Portenari “Della felicità di Padova” del 1623.



Tutte queste immagini sono state ampiamente analizzate e descritte dagli storici. Qui si ripropongono al solo scopo di orientare il lettore, nel momento di descrivere ciò che oggi resta di tutta l’attività costruttiva trecentesca per la difesa della città, che è assai poco, in verità, almeno quel che si può vedere fuori terra.
Del “traghetto’ resta solo la traccia dell’imposta della prima arcata che si staccava dal muro occidentale della Reggia in via Accademia, tagliata di circa un metro per l’apertura dell’attuale arco d’accesso. Un altro resto analogo, ma largo tre metri, inglobato nella muratura di un edificio di via Frigimelica, consente di tracciare una linea congiungente e valutarne la direzione.



La lunghezza del tratto fino alle mura comunali risulta di circa 195 metri. Il passaggio pensile, con due parapetti merlati, era sostenuto da pilastri e da archi in muratura laterizia. All’incontro con le mura comunali vi era una torretta, rappresentata nell’incisione di Vincenzo Dotto e in qualche perizia settecentesca, prima della demolizione operata nel 1777.
Della “cittadella”, Accademia Delia dal 1608 al 1801, poi Cavallerizza e ora in parte pubblica piazza, rimane la porta di S. Michele, sormontata dalla torretta, il tratto contiguo del muro orientale, ma inglobato negli edifici e visibile solo in alcuni loro locali interni, e un altro tratto scoperto e di buona consistenza collocato sulla stessa direzione ma a sud di via Riello, parzialmente intonacato e posto a divisione di cortili privati. È probabilmente originale anche la muratura affacciata sul canale che costituiva il lato occidentale della cittadella.



In questa zona si trova anche l’unico resto delle fortificazioni intermedie meridionali, poste lungo la riva interna del canale delle Acquette, ora interrato e corrispondente alla via delle Dimesse. Il tratto è lungo circa 24 metri ed alto quattro.



Del “soccorso” gli avanzi sono più significativi. Collocati all’interno di un giardino privato in via Pasquale Paoli, essi sono costituiti dalla torre della Catena, dal recinto con le due porte ai suoi piedi e dai due tratti paralleli della muraglia che vi giunge. Di questi, quello verso il fiume è ridotto a poco più di un metro d’altezza, per una lunghezza di quasi 40 metri, mentre quello orientale conserva un’altezza di circa sei metri per una lunghezza di quasi 20 metri, compreso il lato del recinto, ma è stato “alleggerito” con l’apertura di due grandi archi. La muratura è realizzata con la consueta tecnica del “sacco” interno, delimitato all’esterno da corsi di pietra trachitica irregolare, pareggiati con uno o due corsi di mattoni laterizi. Il percorso di ronda sulla sommità delle mura partiva dal primo piano della torre. Alla torre, sul lato del fiume, era agganciata la catena che consentiva il controllo della navigazione all’ingresso del Bacchiglione in città.



Sull’altra sponda rimangono alcuni tratti delle murature del recinto di controllo della porta della Saracinesca, ora muri di confine tra due proprietà private in via Ezzelino il Balbo.
Altri lacerti di murature di epoca carrarese possono essere sopravvissuti come strutture arginali lungo alcuni dei canali cittadini. È il caso della sponda sinistra del canale Alicorno, nel pezzo tra il collegio Antonianum e l’Orto Botanico; oppure quello del canale di S. Chiara, dal ponte dell’Orto Botanico a Pontecorvo, lungo il margine del convento antoniano; o quello del canale interrato di S. Massimo, nell’attuale ospedale e nei giardini Treves. Anche la muratura alla base del convento dei carmelitani e la porzione nord del ponte dei Carmini appartengono al tracciato delle fortificazioni carraresi.
È probabile che molte strutture murarie siano rimaste sepolte al di sotto degli attuali livelli pavimentali.
Un caso clamoroso è venuto alla luce a Codalunga, durante gli scavi tra il luglio 1992 e il marzo 1994 per la posa di nuove condotte fognarie nel viale della Rotonda
[40]. Si tratta di un lungo tratto di muratura laterizia, appartenente verosimilmente alla cerchia carrarese, con un alzato sotterraneo di due o tre metri, ancora molto ben conservato, con quattro torri aggettanti o a filo della cortina, distanti tra loro di 55-60 metri, parallele ad una banchina d’approdo e all’alveo di un fiume preesistente.



Un altro caso riguarda una breve porzione di cortina muraria emersa nell’ottobre 2004 dal terrapieno cinquecentesco, durante i lavori per la realizzazione di una rotonda stradale, rimasta in vista tra il bastione Savonarola e la breccia della via Milano [41]. L’andamento del muro non è rettilineo, ma presenta una lieve divaricazione verso l’esterno della porzione a nord, verso la porta, e non è parallelo alla direzione delle fortificazioni cinquecentesche. La muratura laterizia, con lo spessore è di cm 106-108, prosegue sepolta lungo via Orsini per una decina di metri. La presenza di una base quadrangolare, addossata sul lato interno alla città, fa pensare ad una struttura a pilastri e archi a sostegno di un percorso di ronda.


[1] Testo predisposto per il volume: I luoghi dei Carraresi, a cura di Davide Banzato e Francesca d’Arcais, Canova Edizioni, Treviso, novembre 2006, pp. 53-61, qui riprodotto con l’autorizzazione dell’autore e dell’editore con modifiche, con l’aggiunta delle note stralciate dall’edizione a stampa e con nuove immagini. torna alla lettura

[2] In Una redazione volgare inedita degli Annales patavini della Biblioteca Universitaria di Padova pubblicata da G. FABRIS nel 1939 a p; 18 si legge che “in quel ano fo fato el ponte de Hogni Santi, el luogo de san Benetto, e fo comenzà i muri della zità de Padoa de fuora”.
Nella redazione parmense degli Annales patavini all’anno 1195 si legge: “Dominus Paganus de Turre potestas Padue. Hic fecit fieri pontem ab Omnibus sanctis et incepit muros circa Paduam”. R.I.S., t. VIII, p. I, a cura di A. BONARDI, Città di Castello 1904, p. 183.
Nella redazione Corradino-Papafava: “Dominus Paganus de Turre de Mediolano potestas Paduae. Hoc anno factus fuit pons lapideus ab Ominibus sanctis; et hic incepit facere fieri muros circa civitatem Paduae”. Ivi, p. 200.
Nella redazione del codice Zabarelliano a confronto con quella italiana del codice ambrosiano: “Dominus Pagano de la Turre potestas Paduae. Hic fecit fieri pontem ab Omnibus sanctis et icepit muros circa Paduam” e “Messer Pagano della torre podestà de Padoa: costui fece fare il ponte de Ogni santi et cominciò le mura attorno a Padoa. Et in quest’anno fu cominciato el monastero de san Benedetto”. Ivi, p. 222.
Infine, il Liber regiminum Padue alla data riporta: “Dominus Paganus de la Turre de Mediolano potestas Paduae. Eo tempore incepti fuerunt muri circa Paduam a ponte sancti Leonardi. Et inceptum fuit monasterium sancti Benedicti. Et factus fuit pons lapideus omnium Sanctorum, ut in libro Leonis continetur: QUINQUE MINUS DEMPTIS ANNIS DE MILLE DUCENTIS”. Ivi, p. 297. torna alla lettura

[3] Ivi, alle date 1210, p. 184, 200, 223, 301. E si veda anche G. FABRIS, Una redazione volgare inedita, Padova 1939, p. 20. torna alla lettura

[4]…accepimus a te Raymondino filio Andreae qui dicitur Secundo denariorum Veronensium libras sex finito precio et soluto, ut inter nos convenimus pro pecia una de terra hortaliva iuris nostri quam habere et possidere visi sumus infra comitatum Paduae, iacetque infra civitatem prope murum non longe ab oraculo sanctae Julianae prope strata…Coheret ei uno latere murus civitatis, ab alio ipse emptor, ab uno capite heredes Alberti de Ardengo, ab alio filii Patavini Balbi, sive alia cohereant” vendita di Tanselgardo e Richelda del 7 luglio 1141, autografo n. 32, t. I, Padua, dell’Archivio Capitolare di Padova, trascritto da A. Gloria, Codice diplomatico padovano dall’anno 1101 alla pace di Costanza (25giugno1183), Venezia 1879, doc. 399, p. 299. torna alla lettura

[5] …Item relinquo monasterio Sancte Marie de Pratalia pro anima mea libras X Veronensium et unum meum sedimen, quod iacet in Padua in hora Sancti Mathei, et relinquere ei feudum, quod habeo a predicto monasterio Pratalie, cui coheret ab uno latere Bertolotus, ab alio latere ecclesia sancti Mathei, ab uno capite via, ab alio capite murus civitatis” testamento di Aldrighetto di Rolando del 30 aprile 1181, raccolto da P. Sambin, Nuovi documenti padovani dei secoli XI e XII, Venezia 1955, doc. 72, p. 101, tratto da Brunatii, Diplomata Patavina, B. Marciana, ms. cl. X, cod. 200 (3768) cc. 19-20 che attinge ex autografo Tabularii Castellani Venetiis. torna alla lettura

[6] Forse tra il 1034 e il 1050, in base alle considerazioni di S. Collodo, Il Prato della Valle nel Medioevo, in AA.VV., Prato della Valle. Due millenni di storia di un’avventura urbana, a cura di L. Puppi, Padova 1986, pp. 52 e segg. torna alla lettura

[7]…intendendo per sobborghi la località fino al ponte dei Graticci, fino al ponte del Bassanello e fino all’Arcella e gli altri sobborghi compresi entro un miglio dalle porte della città”. Traduzione di G. Beltrame, G. Citton e D. Mazzon, Statuti del Comune di Padova, Cittadella 2000, p. 157. torna alla lettura

[8] 1287. Dominus Baronus de Manzatoribus de Sancto Miniato de tuscia potestas Paduae. Eo tempore fixi fuerunt termini de mense iulii circa civitatem Padae super omnibus stratis magnis, distantes a palatio communis Paduae per duo milliaria.” A. Bonardi, Liber regiminum, cit. p. 339.
1286. Miser Barone di Manzatori da san Miniato, podestà de Padoa. In quelo anno fo partì le confine del comun de Padoa in le champagne delle ville, e fo metù i termini de pria per tuta la champagna de Padoa, da hogni parte de la zità a le strà maistre, zoè doi meia.” G. Fabris, Una redazione volgare inedita, cit., p. 33.
Si veda anche C. Gasparotto, Patavium Padova, in AA.VV., Padova. Guida ai monumenti e alle opere d’arte, Venezia 1961, p. C. torna alla lettura

[9] …Id est pecia una de terra cum capella edificata super se abente, que est constructa ad onore sancti Danielis iuris ipsius domus Oldericus episcopus de parte suo episcopato, quibus esse videtur foris civitate Padua in loco qui dicitur Turreselle prope spaldo cum omnia sua pertinencia que ad ipsa capella pertinet in integrum…”. Donazione del 10 gennaio 1076 del vescovo Ulderico al monastero dei SS. Giustina e Prosdocimo, autografo n. 38 dell’Archivio Diplomatico del Museo Civico, trascritto da A. Gloria, Codice diplomatico padovano dal secolo sesto a tutto l’undecimo, Venezia 1877, p. 254, doc. 227. torna alla lettura

[10] Rolandini Patavini Cronica circa facta et factis Marchie Trivixane, a cura di A. Bonardi, R.I.S., t. VIII, p. I, Città di Castello 1906-8, pp. 118-122. torna alla lettura

[11] La porta Altinate sarà costruita solo nel 1287, dopo che il comune avrà acquistato e demolito le case del messer Guercillo. Si veda A. Bonardi, Annales patavini, redazione Zabarellia, cit. p. 230 e redazione Osio, p. 263. torna alla lettura

[12] …statuunt Paduani fossatum et spaldum facere a latere civitatis paduane versus sero, in qua parte potius expedire videtur, propter futurum exinde inimici adventum, foris muro scilicet circa trecentos passus; et quamvis laboriosum extiterit, omnes tamen voluntarie laborantes opus magnum paucis adimpleverunt diebus, utpote longam foveam, quasi per miliaria tria, amplam eciam, ut quasi Brente alveus crederetur. Fovea quidem facta, constructum est ibi spaldum trabeum longo tractu fortissimum et condempsum, turres quoque lignee, tortirelle sive prederie certis locis, ut si temerarius inimicus accesserit, redeat cum pudore et dampno. Ivi, p. 133.

Ma si veda anche il Liber Regiminum Padue, a cura di A. Bonardi, R.I.S., t. VIII, p. I, Città di Castello 1906-8, p. 324: “Interim vero fossatum, et vallis de lignamine factum fuit circa burgos civitatis a parte occidentali, videlicet a porta Saracineschae usque ad portam sanctae Trinitatis; quae res fuit maxima defensio civitatis”. torna alla lettura


[13] 1258. Dominus Matheus de Corigia de Parma potestas paduae. Eo tempore inceptus fuit murus spaldi a Saracinesca.” Ivi, p. 324.
1258. In questo anno fo dà prenzipio al muro del spaldo, il qualle era de fuora da san Zuane”, in G. Fabris, cit., p. 27. torna alla lettura

[14] Incoeptus fuit hoc anno murus spaldi in civitate Paduae versus Sanctam Trinitatem”. A. Bonardi, Annales patavini, redazione Osio, cit. p. 263. torna alla lettura

[15] Dominus Matthaeus de Correza de Parma potestas Paduae, electus in martio. Et sequente octaca pasche, corpus beati Antonii translatum est, ubi nunc est. Et tunc inceptus est murus, ubi prius erant tantum spaldi, versus partem occidentalis de padua.” A. Bonardi, Annales patavini, redazione Corradino-Papafava, cit. p. 203. torna alla lettura

[16] Dominus Thomasinus Zustignanus de Venetiis potestas. Hoc anno murus spaldi communis Paduae suprascriptus totaliter fuit perfectus.” Ivi. torna alla lettura

[17] Statuti, cit., p. 367. torna alla lettura

[18] Tunc factus fuit portus Omnium sanctorum et muratus a ponte Omnium sanctorum usque ad rostam.” A. Bonardi, Annales, redazione Zabarellia, p. 232. Nella redazione italiana dell’Ambrosiana si legge invece: “All’ora fu fatto il ponte d’Ognisanti et il muro dalla porta d’Ognisanti fin alla rosta.“ che corrisponde al testo latino del manoscritto usato dall’Osio, cit. p. 263. torna alla lettura

[19] 1312. Aquilae dicti imperatoris fuerunt dispictae de palatio communis, de muris civitatis e de omni loco, ubi erant pictae in Padua”. A. Bonardi, Annales, redazione Zabarellia, cit., p. 234. torna alla lettura

[20] 1319. “Eodem millesimo, die V augusti, domunus Canis obsedit Padam et fecit castrum Baxanelli”, A. Bonardi, Annales, redazione dei codici molineo e ambrosiano, p. 211. Per l’assedio si veda Albertini Muxati De obsidione domini Canis Grandis de Verona ante civitatem Paduanam, nell’edizione di G. M. Gianola, Padova 1999. torna alla lettura

[21] 1320. “die III iunii, iuxta ecclesiam sanctae Justinae, Paduani extrinseci per foveas intraverunt furtive de nocte intra fortilicias, qui fuerunt mortui et submersi”. Ivi, p. 212.
Et die martis tertia mensis iunii, de nocte ante matutinum, in dicto milesimo et regimine, dominus Canis cum suo exercitu occulte invasit et assalivit civitatem Paduae, post monasterium sanctae Iustinae, et multi ex eis ascendentes super butifredum et spaldum et interficientes custodes circa tres et frangentes et incidentes spaldum, et intraverunt ulterius plusquam CCC”. A. Bonardi, Annales, redazione Zabarellia, cit. p. 239-240.
…et millesimo praedicto, die sabbati, XII iulii,…per viam Pontis corvi versus quamdam motam magnam, quam faciebat facere dominus Canis cum multis fossis et taiatis ad claudendum Paduanos, ne exirent per illam partem et volendo ibidem super dictam motam aedificare castrum. Tunc praedicti potestas cum alii nominatis splanare inceperunt…”. Ivi.
Si leggano anche i versi di A. Mussato in De obsidione, cit., p. 69 e la descrizione, ancora più precisa nel De gestis Italicorum post Henricum VII Caesarem dello stesso testimone illustre nell’edizione di L. Padrin, Venezia 1903, p. 77: “Extruserat in agris choerentibus urbis, spacio passuum ferme C., Canis tumulum excelsum circa adiacentiam pontis Corvi ubi et propugnaculum effici preconstituerat inspecturum urbem trans turrim pontis in quo pervigilem custodiam fieri iusserat ne intrinsecis per eam urbem quidhoramve egredi facultas aut etiam ad victum in eam urbem quidquam deferri. torna alla lettura

[22] Composta tra il 1329 e il 1337 secondo G. Fabris, La cronaca di Giovanni da Nono, Bollettino del Museo civico di Padova, 1932, 1933 e 1934-39, ora in Cronache e cronisti padovani, Padova 1977, p. 66. torna alla lettura

[23]Murum civitati, cum Principatum gereret, ab templo s. Antonii ad portam Prati vallis ducere inchoavit; suburbia vero, uti tunc erant vallo munita, in plurisque locis renovavit. P. P. Vergerio, Vitae principum Carrariensium, a cura di A. Gnesotto, Padova, 1925, p. 32. torna alla lettura

[24] A. Bonardi, Annales, redazione Zabarellia, cit. p. 254: “…furno cominciati i muri de Padoa per comandamento de messer Marsilio de Carrara”.
P. P. Vergerio, cit. p. 77: “Adortus erat omnia suburbia Civitatis muro cingere, iam in magnam partem jacta erant fundamenta; verum festinata mortem praeventus intermisit”.
G. Cortusii, Chronica de novitatibus Padue et Lombardie, a cura di B. Pagnin, R. I. S. t. XII, parte V, Bologna 1941, lib. VII, cap. X, p. 90: “Omnia suburbia civitatis a porta que dicitur Trinitatis usque ad portam Pontis Curvi, a porta Prati Vallis usque ad Sanctum Michelem, maximo muro cepit includere; morte preventus ad implere non potuit, que omnia dominus Ubertinus maximis sumptibus adimplere curavit”.
Riportato anche dal più tardo B. Scardeone, Historiae de Urbis Patavii antiquitate, et claris civibus patavinis, Basilea 1560, ora Bologna 1979, p. 316 (278 A). torna alla lettura

[25] Insuper secunda moenia in modum coronae, ubi vallum prius circmduxit” Ivi, p. 318 (279 A).
P. P. Vergerio, cit. p. 99: “Hic urbem et munivit muris, et aedificiis ornavit, et studiis artium bonarum instruxit. Nam opera quidem murorum, quae Marsilius incoaverat, pro magna parte perfecta reddidit”. torna alla lettura

[26] G. e B. Gatari, Cronaca carrarese, a cura di A. Medin e G. Tolomei, R.I.S., t. XVII, P. I, Vol. I, Città di Castello, 1931, p. 73. torna alla lettura

[27] Ivi, p. 136. torna alla lettura

[28] Ivi, p. 137. torna alla lettura

[29] Ivi, p. 145. torna alla lettura

[30] Ivi, p. 381. torna alla lettura

[31] Ivi, p. 416. torna alla lettura

[32] Ivi, p. 143. torna alla lettura

[33] …e parte fugiron’su per lo muro dela cità per la via dela corte versso il castello, lasiando i loro cavally nela corte a vôte selle…” Ivi, p. 419. torna alla lettura

[34] Ivi, p. 80 e 81. torna alla lettura

[35] Ivi, p. 95. torna alla lettura

[36] Ivi, p. 101 e 103. torna alla lettura

[37] Ivi, p. 150. torna alla lettura

[38] Johannis de Ravenna, De Lustro Alborum in urbe Padua ad clarum virum Paulum de Rugulo civem Tervisinum, cod. 288, Balliol College Oxford, ff. 137-165, nella trascrizione e commento di A. F. Marcianò, Padova 1399 le processioni dei Bianchi nella testimonianza di Giovanni di Conversino, Padova, 1980. torna alla lettura

[39] muratae et clausae” già nel 1383 secondo il documento cxxxv in F. S. Dondi Dall’Orologio, Dissertazione ottava sopra l’Istoria ecclesiastica di Padova, p. 263-265, Padova 1815. torna alla lettura

[40] A. Moneti – A. Draghi, Nuovi dati sullo sviluppo della forma urbana di Padova fra VI e XVI secolo, in Bollettino del Museo Civico di Padova, Annata LXXXII, Padova 1993, p. 61-82. torna alla lettura

[41] S. Tuzzato, Padova, nodo stradale di porta Savonarola. Documentazione archeologica di elementi emersi nel terrapieno delle mura veneziane presso il varco di porta Savonarola, durante la parziale asportazione del terrapieno cinquecentesco. Relazione per il Settore Mobilità e Traffico del Comune di Padova, ottobre 2004. torna alla lettura


 

Nel 1195 il Comune di Padova dà inizio alla costruzione delle nuove mura, a difesa del nucleo centrale della città, quello racchiuso nell'insula, anticamente formata dalla prima ansa del Meduacus, ma ormai delimitata dai due rami del Bacchiglione, noti in epoca moderna come Tronco Maestro e Naviglio interno (quest'ultimo oggi in gran parte tombinato, sotto le attuali riviere Tito Livio e Ponti Romani), che ancor oggi si separano all'altezza del castello e si ricongiungono all'esterno delle Porte Contarine.

In realtà quella che viene tramandata come "costruzione" è piuttosto un'opera di razionalizzazione e integrazione delle difese realizzate in precedenza in tempi diversi: il tratto superstite di riviera Tito Livio, che si sompone di due muri affiancati costruiti in epoche diverse, sta a dimostralo.

Della cerchia comunale sopravvivono oggi pochi tratti, che affiorano qua e là come facciata o come muro posteriore delle abitazioni che vi si sono addossate nel corso dei secoli, soprattutto lungo riviera Albertino Mussato, via Tolomei e riviera Mugnai e poi ancora in largo Europa (sotto la torre medoacense), in riviera dei Ponti Romani (all'interno di un negozio di articoli sportivi) e in riviera Tito Livio. I due tratti meglio conservati sono però quelli che delimitano i lati sud e ovest del castello, anche se poco visibili dall'esterno.

Delle quattro porte regales indicate dal notaio trecentesco Giovanni da Nono nella sua Visio Egidii Regis Patavie ci rimangono Porta Altinate e Porta dei Molini, più una quinta, presto dimenticata, perché inglobata nell'ampliamento ezzeliniano del castello e riscoperta solo di recente. Il da Nono la elenca fra le altre quindici minori, come porta "del castello", ma dimensioni e monumentalità sono analoghe a quelle di porta Altinate. Delle altre quattordici porte minori sopravvivono soltanto poche vestigia della porta di San Fermo, ritrovate di recente.

Sempre in epoca comunale furono poi realizzati in momenti diversi altri tratti di mura, spaldi e terrapieni, all'esterno della cinta primitiva: all'inizio della dominazione ezzeliniana, nel 1238, è ad esempio già attestato un tratto a sud, lungo il canale delle Acquette, con una porta verso Prato della Valle. Fra la fine degli anni '50 e i '70 del Duecento viene costruito un muro del spaldo a occidente, che poi prosegue a cingere l'area della chiesa della Trinità (più tardi Coalonga), in un processo di continuo ampliamento delle fortificazioni, ad inglobare le successive aree di espansione della città, processo che continuerà e si completerà in epoca carrarese, dando luogo al complesso delle "tre cinte di mura" ricordate dagli annalisti.

 

le mura comunalile mura comunali



Le mura comunali: a sinistra nella veduta di "Padova circondata dalle muraglie vecchie" del Dotto e a destra evidenziate sulla pianta del Valle

 

Ulteriori notizie sulle mura comunali nel relativo capitolo della Storia in breve

La visita virtuale permette di conoscerle passo a passo

Per una trattazione ampia e dettagliata delle mura medievali nel loro complesso:
- Le Muraglie vecchie di Padova
, di Adriano Verdi (tratto da I luoghi dei Carraresi, a cura di Davide Banzato e Francesca d'Arcais. Canova, Treviso 2006)

Per una ricognizione fotografica dettagliata dell'esistente (al 1987):
- Le mura ritrovate.
Fortificazioni di Padova in età comunale e carrarese, a cura di Adriano Verdi, Panda Edizioni, Padova 1987 e 1989