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da "Padova e il suo territorio" n. 138, aprile 2009

IL CASTELLO DI PADOVA
E LE OPERE DELLA DIFESA


VITTORIO DAL PIAZ

Il Castello come componente del sistema difensivo della città,
e i criteri cui attenersi nel suo restauro e rivitalizzazione.


L'associazione "Comitato Mura di Padova" che rappresento opera da più di un trentennio al fine di salvaguardare il maggior 'monumento' della città, che con i suoi undici chilometri di circuito, lambito per oltre tre chilometri dalle acque, malgrado le pesanti trasformazioni che ha subito tra Ottocento e Novecento, connota ancora aggi la forma urbis. Nato in un periodo di vivace fermento dell'associazionismo padovano - basti qui citare la "Comunità per le libere attività culturali," più conosciuta come CLAC -, il Comitato Mura estendeva il proprio interesse all'intero sistema difensivo urbano, che vede proprio nel Castello il suo fulcro principale [1]. Non solo quindi il grandioso fronte bastionato che la Repubblica veneta realizzò nell'arco di alcuni decenni dalla conclusione della guerra promossa dalla Lega di Cambrai, che nel 1509 vide nell'assedio di Padova uno tra gli eventi più significativi della vicenda, ma anche il sistema delle fortificazioni precedenti, quelle comunali e carraresi, anch'esse 'generatrici' di forma urbana.
Con la piena consapevolezza che la miglior tutela dei beni culturali si ottiene attraverso una loro approfondita conoscenza, come con una costante opera di divulgazione, coinvolgendo la partecipazione dei cittadini, la nostra attività istituzionale si è caratterizzata con tutta una serie di iniziative, volte in particolare al mondo della scuola, ma dirette a tutti i cittadini e agli amministratori pubblici. Ne accenniamo alcune, quelle che meglio possono esprimere il concetto base che è stato sempre presente, anche se può apparire scontato: le opere della difesa della città, come ogni fenomeno urbano, vanno considerate nel loro disegno complessivo e nella loro evoluzione, quindi il 'sistema' non può essere letto per punti singoli, slegato dal contesto originario, specialmente quando esso è stato frazionato, interrotto, fortemente alterato o cancellato del tutto. In quest'ottica, con il duplice scopo di ricerca e di sensibilizzazione, si è collocata l'iniziativa che ha analizzato le strutture medievali della città e che, nel 1987, è andata a buon fine con I'allestimento della mostra Le mura ritrovate[2]. Lo studio, iniziato per merito di Paolo Giuriati, benemerito animatore del "Centro ricerche socio-religiose", ha portato in particolare alla individuazione di tracce 'fisiche' delle mura carraresi che, secondo diversi autori, erano - se non completamente ignorate - date per completamente perdute.
L'occasione ha anche consentito la realizzazione di un plastico, sovrapposto alla pianta di Padova di Giovanni Valle, che propone con una buona attendibilità la ricostruzione del tracciato delle mura comunali e carraresi [3].plastico Il modello, utilizzato efficacemente ancora oggi nelle attività didattiche, fa percepire con immediatezza l'intero sistema fortificato nella sua vastità e complessità, con le sue alte cortine, torri e porte e quelle importanti strutture, come appunto il Castello, il Soccorso, la Cittadella vecchia, la Cittadella nuova, il Traghetto e la Reggia, che rappresentano un unico disegno urbano. Risulta particolarmente evidente il circuito più esterno dei da Carrara che, cinquecento anni or sono, adattato in modo da poter resistere alle nuove potenti artiglierie d'assedio, resistette all'assalto delle truppe della Lega al comando di Massimiliano d'Asburgo.
Il catalogo della mostra, oltre ai saggi di vari autori, propone un percorso 'virtuale' di tutto il sistema, avvalendosi di immagini dell'oggi messe a confronto con la documentazione grafica storica
[4]. E questo non certo per mostrare romanticamente 'come eravamo', ma per documentare e far comprendere I'importanza di queste testimonianze, specialmente per quelle meno appariscenti, o non prese in considerazione: quindi più un manuale finalizzato a progettare la loro valorizzazione e tutela, che un semplice testo di storia patria.
Il tema del progetto, intendendo per questo termine tutte le operazioni che incidono sul manufatto, da quelle di analisi a quelle di manutenzione e di restauro, è stato affrontato in diverse occasioni, e qui ne ricordiamo due significative: la proposta per il pubblico Macello di via Cornaro e lo studio commissionato dal Consiglio di Quartiere Centro storico. Per il primo caso, nell'estate del 1978, la rivista "Padova e la sua provincia" dedicò un fascicolo all'ex Macello, ove, oltre ai saggi di carattere storico, veniva tracciato, a più voci, lo stato dell'arte della battaglia che, iniziata cinque anni prima, doveva portare nel tempo ad alcuni - seppur parziali - successi, in particolare il salvataggio in extremis della grande sala macellazione bovini, ma specialmente all'emanazione del vincolo di tutela all'intera area di pertinenza (compresa quella del bastione Buovo con il serbatoio d'acqua del Macello), riconoscendo nell'intero complesso un importante esempio di archeologia industriale, e rendendo così inefficace ogni futura possibilità speculativa
[5].
Agli inizi degli anni Ottanta il Consiglio di Quartiere Centro storico commissionava uno studio che affrontasse, per la prima volta, il tema 'mura' - pur limitato a quelle veneziane - che era ormai diventato di attualità.
La lettura dell'intero circuito, messa in evidenza dalla redazione di vari elaborati grafici, definisce i confini del 'sistema', per poi fornire le indicazioni progettuali relative alle acque da 'riaprire', alle aree verdi, agli edifici notevoli da salvaguardare, a quelli da abbattere, a quelli da valutare caso per caso. Il progetto, consegnato nel 1986 con il titolo Sistema bastionato di Padova. Analisi e proposte, assumeva il ruolo di 'strumento guida' per proposte una visione unitaria, non frammentata, dell'anello fortificato, demandando a successivi piani di settore o di dettaglio la definizione di temi specifici, ma sempre in un'ottica generale (emblematico il fatto che l'incarico del Consiglio di Quartiere era limitato inizialmente alle mura di propria competenza)
[6].
Alcune brevi considerazioni, semplificate per necessità di sintesi. Padova a fine Settecento, con il tessuto urbano antico e il sistema delle acque ancora nella loro integrità, aveva come confine il fronte bastionato rinascimentale, e il rapporto città-campagna era ancora netto; le mura non avevano subito nei secoli eventi bellici (l'assedio, ricordiamolo sempre, è anteriore alla loro costruzione). Padova è andata poi nel tempo a perdere, come Treviso, il ruolo di città fortezza a difesa della Dominante, e ha visto via via diminuire ogni particolare interesse difensivo, come è anche dimostrato dal fatto che, ormai a ridosso della caduta della Repubblica veneta, i ponti levatoi delle sette porte vennero sostituiti da arcate in muratura.
L'unico episodio legato alle vicende militari nel quale vengono coinvolte le mura è dovuto alle truppe napoleoniche del generale Dauvergne, quando nel marzo 1801 procederanno al "diroccamento della muraglia" lungo il fronte occidentale della cinta, causando con brillamento di mine notevoli danni al torrione Impossibile e ai bastioni Savonarola, S. Prosdocimo e S. Giovanni (e forse anche al Moro I, come sembrano confermare le indagini che proprio in questi giorni si stanno effettuando nel corso dei restauri).
Cinquant'anni più tardi, negli ultimi anni della dominazione degli Asburgo, il Genio militare austriaco, dopo aver analizzato le strutture cinquecentesche, non diede seguito all'ipotesi di adeguarle ai nuovi dettami dell'arte militare, come aveva già messo in atto nelle città del Quadrilatero, in particolare a Verona. Questa rinuncia ricorda in qualche modo quella della Serenissima, quando non si completò il Castelnuovo, la nuova grandiosa fortezza prevista a Ognissanti, ritenendo ancora sufficienti per una città come Padova le antiche strutture del Castello.
rifugioL'unico impiego 'difensivo' delle mura si verificò durante le due guerre mondiali, con la utilizzazione di spazi ipogei dei bastioni come rifugi antiaerei, che in entrambe le circostanze si risolse in tragedia, con la morte di numerosi civili nei bombardamenti aerei dell'11 novembre 1916 e dell'8 febbraio 1944. Nel primo caso, al bastione della Gatta, le vittime saranno oltre novanta, nel secondo, al bastione Impossibile, la strage sarà ancora maggiore, dimostrando che queste strutture non fornivano nessuna protezione alle bombe aeree
[7].
Salvo questo inefficace e tragico utilizzo, la primitiva funzione difensiva era stata persa da lungo tempo, mentre si era invece mantenuta quella di confine amministrativo e daziario, e, tra Ottocento e Novecento, si era già assistito alle profonde trasformazioni che hanno portato alla situazione attuale: apertura di brecce, abbattimenti delle cortine, eliminazione di terrapieni, riempimento delle fosse. edificazione di aree interne ed estreme del sistema, andarono di pari passo con l'interramento dei canali, gli allargamenti stradali e la distruzione di ampie zone di tessuto storico. E' la nuova città che considera il sistema fortificato come 'bene di consumo', e non è un caso che il Comune, nell'aprile 1882, acquisti dal Demanio nazionale "gli spalti e le mura che li sostengono e le fosse che circondano la città di Padova, nonché le Porte della Città stessa, gli annessivi fabbricati ad uso di uffici Daziari e le Casematte sottoposte agli spalti", rendendo così più spedite le operazioni che le coinvolgevano
[8]. Il fatto poi che un complesso monumentale come il Castello fosse mantenuto ad uso carcerario, non sembra aver suscitato particolare scandalo. Le trasformazioni e le costruzioni che hanno interessato il sistema bastionato nell'arco di quasi due secoli, si sa, non sono state tutte negative: nessuno - almeno si spera - si sognerebbe di eliminare il macello di Giuseppe Jappelli a Porciglia, quello di Alessandro Peretti, le Scuole all'aperto, il serbatoio dell'acquedotto, l'edilizia popolare, ecc.
Sorge qui il problema, sempre presente nel campo del restauro e del recupero architettonico, di cosa si può - o si deve - eliminare, ovvero cosa si consideri come 'superfetazione', aggiunta impropria meritevole di cancellazione. E' prassi ormai consolidata - anche se spesso disattesa - che vada mantenuto ogni elemento che 'racconti' una storia significativa e che sia frutto di un progetto: nel caso delle mura, ad esempio, vanno salvaguardati anche i muri paraschegge e gli altri elementi che ne documentano la riduzione a rifugi antiaerei, I'ultima - e tragica - funzione di difesa che hanno svolto, come ovviamente tutte le architetture di qualità che hanno segnato la storia della città.
Un esempio da considerarsi emblematico - e che ci riporta al tema del Castello - riguarda l'edificio che ora ospita il Dipartimento di Astronomia dell'Università e che al tempo del suo recupero fu oggetto di accese polemiche. specolaSe ne chiedeva infatti la demolizione, in quanto "spregevole fabbricato" che nascondeva la cortina muraria, in una improbabile ottica del "dov'era, com'era": non sembrava sufficiente il fatto che fosse stato realizzato nei primi anni Venti dell'Ottocento e che risultasse uno degli ultimi esempi di edificio a destinazione mercantile in stretto rapporto con le acque
[9] Cosa avrebbe portato una dissennata demolizione del fabbricato? Oltre a cancellare la sua ultrasecolare storia e ogni traccia delle sue molteplici attività, iniziale come "stabilimento" Sinigaglia, per terminare come officina di montaggio biciclette della ditta Rizzato, avrebbe prodotto lo stesso effetto che a Montagnana si è ottenuto eliminando la caserma austriaca accanto a porta Padova: una ferita alle mura che potrebbe essere risarcita solo con una inattuale ricostruzione stilistica.
L'intervento di recupero, condotto con tutte quelle analisi preventive che devono in ogni caso precedere ogni ipotesi progettuale che riguardi il costruito (rilievo scientifico, indagine storica, saggi archeologici e stratigrafie degli elevati, ecc.), che consentono - come hanno consentito - di non avere 'sorprese' in corso d'opera, ha portato alla liberazione della torretta con la porta carrarese, e alla messa in luce del rivelino fornito di fossa e ponti levatoi, elementi del tutto ignoti di cui si era persa ogni notizia
[10]. In altre parole, oltre alle opportune azioni di sensibilizzazione, questo metodo ha comportato l'attuazione di quel 'cantiere della conoscenza' che deve essere il costante criterio da seguire per il futuro riscatto del Castello, preliminare anche ad ogni proposta di utilizzo che non si prefiguri a monte di tutte le indagini necessarie. E' questo, anche se può apparire scontato ai più, l'approccio metodologico che si ritiene opportuno seguire, come peraltro è stato meritoriamente già messo in atto dalle Soprintendenze, che ci si augura siano messe in grado di continuare nelle operazioni di analisi, di messa in sicurezza e di bonifica.
Ben vengano le proposte di destinazione d'uso con tutte le implicazioni del caso, dal contenuto culturale alla gestione, dai finanziamenti necessari alle possibilità future di ulteriori annessioni, ma non si definisca a priori quello che dovrebbe essere la migliore soluzione di un utilizzo compatibile del Castello senza gli opportuni approfondimenti, come anche, nel campo più propriamente progettuale, non si diano indicazioni preconcette o affrettate.
E invece c'è già chi propone l'abbattimento della muraglia del carcere con il passaggio di ronda che si affaccia su riviera Tiso da Camposampiero per poter 'vedere' il Castello, dando allora anche per scontata I'eliminazione dei capannoni industriali che sono nel mezzo, strutture che sono viceversa da analizzare con attenzione e che non vanno certo condannate a priori
[11]. Gli strumenti di indagine e di simulazione oggi non mancano, è sufficiente applicarli come irrinunciabili operazioni propedeutiche ad ogni soluzione progettuale. Cosa e come mantenere di una struttura tanto prestigiosa quanto martoriata, non è un aspetto marginale. Nessuno dovrebbe pensare che si possa ritornare ad un ipotetico originale (e poi quale?). Bisognerà invece procedere, come si è operato finora, in modo prudentemente selettivo, conservando le diverse 'anime' e storie del Castello.

da "Padova e il suo territorio" n. 138, aprile 2009
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[1] L'associazione è stata presieduta nel tempo da Giulio Bresciani Alvarez, Lionello Puppi, Patrizio Giulini, Adriano Verdi,
Paola Valgimigli, Luciana Bonvicini, Gianumberto Caravello e chi scrive.
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[2] L'esposizione ha avuto luogo presso l'Oratorio di S. Bovo dal 28 novembre al 20 dicembre 1987, per poi essere ripetuta nei Magazzini del Sale di Palazzo Moroni dal 21 luglio al 7 novembre 1989. E' stata infine ospitata nella Fornace Carotta dal 27 gennaio al 10 febbraio 2006.
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[3] Il plastico è stato realizzato dall'arch. Alessandro Bonomini; era presente anche un diorama raffigurante un tratto di mura e figurini del periodo carrarese, opera di Vanni e Angiolo Lenci.
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[4] AA.VV., Le mura ritrovate, a cura di A. Verdi, Panda Edizioni, Padova 1987 (ried. 1988 e 1989).
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[5] "Padova e la sua provincia", XXIV (1978), 7, luglio. Il fascicolo riporta gli articoli di G. Bresciani Alvarez, Le strutture urbane e le mura cinquecentesche di Ognissanti, di V. Dal Piaz, Il pubblico Macello nell'area di S. Massimo e, a cura della CLAC, Situazione del verde, Cosa conservare e come, Cronaca di una proposta culturale. La Comunità per le libere attività culturali in quegli anni riuniva gran parte dell'associazionismo culturale attivo in città: ne facevano parte attiva, tra gli altri, il Comitato Mura, il Gruppo speleologico del Club Alpino Italiano, sezione di Padova, il Centro d'arte, il Comitato difesa colli euganei, il Gruppo astrofili, il Gruppo micologico, il Gruppo mineralogico euganeo, la Società archeologica veneta, la Società naturalisti, Il Teatro popolare di ricerca, il WWF Padova.
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[6] Il progetto, che rispecchiava - e rispecchia ancora - la linea culturale dell'associazione, è stato redatto dagli architetti Aldo De Poli, Gabriella Ivanoff, Adriano Verdi e Vttorio Dal Piaz. Oltre ai criteri d'intervento, è stato stigmatizzato il concetto di 'sistema' (fossa, cortina, terrapieno, porte e bastioni, strade di circonvallazione interna ed esterna), fatto che ha poi portato ad una più corretta delimitazione del Centro Storico, esteso al limite della circonvallazione esterna, da dove iniziava il "guasto".
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[7] Si vedano a proposito i due opuscoli omaggio, pubblicati grazie alle attività di collaborazione con il Consiglio di Quartiere 5, 8 Febbraio 1944 al bastione Impossibile (2006 e 2008) e 11 novembre 1916 al torrione della Gatta (2008). Già nel gennaio 1917, un manifesto del Comune, che presentava una prima lista dei rifugi pubblici (per le mura sl citano le casematte di S. Massimo e di S. Prosdocimo e il bastione dell'Impossibile), avvertiva "a buon fine… che i posti di rifugio non possono offrire che una sicurezza relativa data la qualità e la potenzialità delle bombe".
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[8] La trascrizione integrale dell'atto e la rielaborazione degli apparati grafici catastali sono in V. Dai Piaz, A. Ulandi, Mura di Padova. Compra-vendita immobiliare 8 aprile 1882 con cui il Demanio vendette al Comune di Padova gli spalti e le mura che li sostengono e le fosse che circondano la Città di Padova, nonché le porte della Cíttà stessa, gli annessivi fabbricati ad uso di uffici Daziari e le Casematte sottoposte agli spalti, Il prato, Padova 2004.
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[9] Non vi è qui lo spazio anche solo per riassumere tutte le vicende che hanno riguardato il recupero, da parte dell'Università, del fabbricato (altrimenti destinato ad uso privato), che ha portato alla liberazione della terza porta medievale di Padova. Una descrizione dell'intervento è in Iginio Cappai, Pietro Mainardis, Il progetto di restauro dell'edificio ex Rizzato al Castello di Padova, in Il Bo, n. unico sull'edilizia 1994-95, suppl. a "Galileo", 62, 1994, p.36-39.
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[10] Per i primi risultati d'indagine si veda S. Tuzzato, G. Mengato. Notizie, scavi e lavori sul campo. Un saggio di scavo presso il Castello di Padova. Archeologia Medievale, XXII (1995), p. 241-252; e anche, dello stesso autore, Il Castello di Padova fino ai Carraresi e le nuove ricerche (1994-2004), in I luoghi dei Carraresi, a cura di D. Banzato e F. d'Arcais, Canova edizioni, Treviso 2006, pp. 72-79. Nello stesso volume, A. Draghi, La porta d'acqua del Castello, pp. 80-82.
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[11] Qualcuno in passato aveva chiesto anche l'atterramento del "serbatoio" che sorge sul saliente ad Ovest del ponte dell'Osservatorio, senza essere a conoscenza che si tratta di una attrezzatura astronomica, I'Equatoriale Dembowski, entrato in esercizio nel 1883.
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