Padova e il suo territorio 170

(16 agosto 2014) - Dopo aver dedicato metà del numero di giugno (169) alle mura e alla mostra che le ha celebrate, "Padova e il suo territorio" ospita ancora tre articoli sul tema nel fascicolo di agosto (n. 170), che alle mura dedica anche la copertina e un editoriale di Giorgio Ronconi, in cui si affronta il tema del loro problematico ruolo nella città contemporanea. Come i precedenti, anche i tre brevi saggi elaborano, ampliandoli, temi e spunti offerti da oggetti esposti in mostra,

che nel pur ricco catalogo non hanno trovato adeguato spazio.

Vincenza Cinzia Donvito si sofferma, segnalando alcuni esempi eloquenti, sulla natura polisemica degli oggetti scelti per narrare la storia delle mura e della città: godibili in sé, suscitatori di emozioni in quanto opere d'arte o comunque dotati di valenza estetica, ma al tempo stesso documenti, spesso insostituibili, di eventi, personaggi, luoghi e ambienti, che né la lettura dei soli testi, né l'osservazione diretta dei manufatti ci permetterebbero di conoscere e comprendere appieno. Nella seconda parte dell'articolo, dopo aver sottolineato come esposizioni del genere costituiscano porzioni (anticipazioni?) di un possibile Museo della Città, Donvito ci ricorda che quel museo esiste, ed è costituito dalle collezioni civiche, attorno alle quali è stata costruita la mostra, e in particolare la Raccolta Iconografica Padovana, della quale ritraccia in breve origini e consistenza.

Ugo Fadini richiama l'attenzione su due piante di Padova, esposte solo in riproduzione, ma che del racconto della vicenda costruttiva delle mura sono testimonianze eloquenti, eppure fin qui sottovalutate. Si tratta della grande carta del territorio padovano di Nicolò dal Cortivo, datata 1534, prima rappresentazione nota della città con le nuove mura, ma anche circondata dal guasto, evidenziato dall'autore con un curioso, ma realistico espediente grafico, e di quella del cosiddetto Autore Verde, di poco successiva, della quale viene anzi proposta una datazione anticipata rispetto a quella comunemente accettata, proprio in base ai precisi dettagli che essa contiene.

Ancora sul guasto, o più propriamente sulle sue conseguenze, torna infine Franco Benucci, prendendo spunto dal bassorilievo che raffigura la Madonna con il Bambino e un pellegrino, verosimilmente proprio il beato Antonio dei Manzi, detto "il Pellegrino", ma che riporta in basso il nome di una badessa Scolastica. A partire da quel nome e da quella figura di pellegrino l'autore ricostruisce le vicende, per certi versi singolari, della badessa, quelle del suo monastero, di Santa Maria di Porciglia, o, appunto, del Beato Pellegrino, e infine dello stesso bassorilievo, sopravvissuto indenne a cinquecento anni di peregrinazioni delle monache e giunto infine, fortunosamente, al Museo Civico.

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